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Facciamo il punto sul caso Ema

Dopo il sorteggio che ha assegnato l’Agenzia europea del Farmaco ad Amsterdam, l’Italia presenta un doppio ricorso e scommette ancora su Milano. Ma ha davvero qualche possibilità?

DANIEL LEAL-OLIVAS/AFP/Getty Images

La partita su Ema non è ancora chiusa. Ne sembrano convinti sia il governo che il Comune di Milano, che hanno presentato due ricorsi contro l’assegnazione dell’Agenzia europea del farmaco alla capitale olandese, decisa con un sorteggio dal Consiglio Europeo.

Andiamo con ordine. L’Agenzia europea del farmaco, al momento, ha sede a Londra, ma dopo la Brexit i suoi uffici andranno trasferiti in un’altra città di uno dei Paesi membri dell’Unione. Lo scorso 20 novembre, i ministri per gli Affari europei dei 27 Stati membri hanno votato fra 19 candidature. Le finaliste erano Milano e Amsterdam. A causa della parità dei voti ottenuti (13 ciascuna, mentre un Paese, probabilmente la Slovacchia, si è astenuto) la decisione è stata affidata a un sorteggio e la fortuna ha premiato gli olandesi.

Mentre le polemiche e l’amarezza all’indomani della decisione sembravano destinate a esaurirsi col tempo, un nuovo intoppo ha riaperto la partita. Durante una conferenza stampa, il direttore dell’Agenzia Guido Rasi ha reso noto che la sede definitiva di Amsterdam non sarà pronta in tempo per il trasloco e che si è reso necessario quindi individuare una soluzione transitoria, giudicata tuttavia “non ottimale”, perché offre solo la metà dello spazio rispetto alla sede attuale di Londra.

Tanto è bastato per riaccendere le speranze dell’Italia di rientrare in gara. Un doppio ricorso — uno del Governo, alla Corte di giustizia europea, l’altro del Comune di Milano, al Tribunale Ue — hanno contestato la decisione del Consiglio, in quanto viziata da “informazioni incomplete” sulla nuova destinazione offerta dall’Olanda nel dossier di candidatura. “Operatività e continuità” della nuova sede rispetto a quella di Londra erano infatti requisiti essenziali, evidentemente non rispettati da Amsterdam.

A gelare le speranze nostrane sono state però le parole del commissario europeo alla Salute, Vytenis Andriukaitis, che ha bollato la discussione come “argomento da campagna elettorale”, facendo intendere che la decisione è presa e indietro non si torna.

Insomma, le probabilità che gli sforzi italiani centrino l’obiettivo di riaprire la partita per Milano sono assai scarse, e sono legate, più che ai ricorsi italiani, all’esito di un sopralluogo ad Amsterdam della Commissione ambiente dell’Europarlamento. Il sopralluogo, tuttavia, non è ancora stato approvato, e in ogni caso non è detto che da esso emergano irregolarità tali da riaprire la partita.

Se il finale è ancora da scrivere, resta però l’amaro in bocca. La (magra) consolazione è la convinzione che l’Italia abbia maturato un “credito” a livello europeo, da spendere quando e se si presenterà un’occasione analoga.

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