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Bollate fa goal senzasbarre

di Irene Cosul Cuffaro, Serena Cauzzi, Chiara Martinoli

La casa di reclusione di Bollate è conosciuta per essere un carcere diverso dagli altri, un modello da estendere, dove le celle servono solo per dormire e la vita dei detenuti è scandita dai ritmi del lavoro e dell’istruzione.

I carcerati infatti possono dedicarsi a una grande varietà di progetti di reinserimento, formazione e lavorative in numero decisamente superiore a quello della media delle altre carceri.

I reclusi hanno la possibilità di studiare per conseguire la licenza elementare, media e media superiore, frequentare corsi di informatica, inglese, grafica multimediale oltre a corsi di formazione professionale. Alcuni detenuti sono iscritti ai corsi del polo universitario dell’Università Bicocca.

Nella struttura sono presenti una serra e un orto, una falegnameria e un ristorante, il primo e unico in Italia nato all’interno di un carcere e aperto al pubblico, un servizio di catering a disposizione per cerimonie , mentre alcuni detenuti escono ogni giorno per lavorare per ditte esterne per poi rientrare ogni sera.

I detenuti si impegnano a partecipare alla vita carceraria, contribuendo a organizzare, riuniti in commissione, le attività culturali e sportive, tra le quali la realizzazione del periodico CarteBollate, laboratori teatrali, cinematografici, tornei di calcio e tennis.

L’obiettivo è rendere possibile una prospettiva di futuro e fare in modo che la detenzione non sia fine a se stessa.

Si tratta di una situazione privilegiata rispetto a molte altre carceri italiane, spesso sovraffollate e incapaci di offrire le condizioni necessarie per una vita dignitosa al loro interno.

Il carcere di Bollate il 5 dicembre 2017 ha aderito per il terzo anno consecutivo all’iniziativa “La partita con papà”, la giornata di calcio dei papà detenuti coi loro figli, inserita nella Campagna “Dona un abbraccio” che ribadisce la necessità per il bambino di preservare il legame col genitore.

L’evento è stato organizzato dall’Associazione Bambinisenzasbarre Onlus, impegnata dal 2002 nella tutela dei bambini figli di persone detenute e nel sostegno dei genitori incarcerati e dei loro compagni.

L’Associazione ha firmato il Protocollo-Carta dei diritti dei Figli di genitori detenuti col Ministro di Giustizia e la Garante nazionale dell’Infanzia e dell’adolescenza che riconosce formalmente il diritto alla continuità del legame affettivo con il proprio genitore.

In linea con la Carta l’Associazione ha realizzato lo Spazio Giallo, uno spazio nel carcere dedicato ai bambini che vengono accolti da psicologi sempre presenti sul luogo prima dei colloqui con il genitore.

Il sostegno alla genitorialità in questi contesti è di primaria importanza, potendo essere davvero difficile spiegare a un bambino l’assenza prolungata di un genitore.

Nelle carceri milanesi entrano ogni anno circa 5mila bambini di cui almeno mille nella Casa di reclusione di Bollate. Qui lo Spazio Giallo è adiacente alla sala di attesa dove le famiglie attendono il colloquio col proprio caro. I bambini sono in compagnia di psicologi e possono riempire l’attesa giocando tra loro, disegnando e sfogliando i numerosi libri presenti.

Testimonial dell’evento e arbitro della partita è stata Regina Baresi, capitano dell’ASD Inter femminile.

La partita si è svolta nel campo da calcio all’interno del carcere tra la squadra dei papà e quella dei figli, osservati dalle loro mamme che finalmente hanno potuto guardare i loro bambini giocare coi loro padri come dovrebbe accadere in tutte le famiglie.

Ad arbitrare la partita di calcio tra i padri detenuti del carcere di Bollate e i loro figli, con alla mano cartellino rosso e giallo, insieme al rigoroso fischietto, è Regina Baresi, 26enne, attaccante e capitano dell’Asd Inter femminile. «È un onore essere qui oggi a contribuire a rendere questa giornata ancor più speciale», esulta l’attaccante interista. Chi più di lei, in fondo, doppiamente figlia d’arte, figlia di Giuseppe Baresi, bandiera dell’Inter, e nipote di Franco Baresi, può essere in grado di capire l’importanza emotiva di muovere i primi passi nel mondo del calcio insieme al proprio padre? «Il calcio, sopratutto per i bambini maschi, è collegato al papà, dal quale prendono spesso esempio — spiega Regina, ricordando con un sorriso i suoi esordi — anche per me è stato così, quindi a maggior ragione riesco ad immaginare la felicità di questi bambini oggi».

A Bollate quella di “La partita con papà” è la terza edizione. Nata da una proposta dell’Associazione Bambinisenzasbarre Onlus nel 2015, l’iniziativa ha preso piede sempre più, al punto che per i prossimi anni si sta pensando di duplicare l’appuntamento calcistico tra padri e figli.

Ma quella della partita di calcio è solo una delle tante iniziative inserite nel progetto Bollate, che da sempre punta in modo particolare alla tutela e al recupero del carcerato coinvolgendone la famiglia, e proprio per questo all’avanguardia nello specchio delle carceri italiane. «Iniziative come quella della partita sono fondamentali per il reingresso del detenuto nella società — asserisce Cosima Buccoliero, vicepresidente del carcere di Bollate — è importante infatti che colui che sta scontando la pena si riappropri pian piano del proprio ruolo come padre, marito, compagno».

La vicepresidente ha spiegato inoltre quanto il carcere di Bollate sia avvantaggiato dall’esistenza dei notevoli spazi esterni e dalla particolare vocazione verso la comunicazione con la famiglia, tramite l’aiuto di operatrici, associazioni di volontariato e psicologhe.

Un papà detenuto a Bollate può incontrare il figlio sino ad 8 ore al mese, in moduli da due ore, quindi indicativamente una sola volta a settimana. Ma le due ore a settimana che ai più possono rappresentare un tempo banale, per un bambino con il papà detenuto sono tutto. Gli occhi di chi, all’entrata del carcere, con estrema cura, piega il foglio da donare al proprio padre sul quale è disegnato un cuore metà rosso e metà nero affiancato alla scritta “Mi manchi!” la dicono lunga su quanto queste due ore settimanali possano diventare vitali nella vita di un bambino.

«La relazione padre — figlio in carcere inevitabilmente viene limitata non solo quantitativamente ma anche qualitativamente — spiega la psicologa Marta Ghironi — in alcuni istituti infatti i bambini devono addirittura stare seduti, immobili. A Bollate tramite lo “spazio giallo”, ambiente d’attenzione e ascolto per i figli che abitualmente entrano in carcere a incontrare il papà o la mamma, i bambini sono liberi di muoversi con meno vincoli”.

Secondo la psicologa Marta Ghironi è importante non nascondere le sbarre, perché i bambini le vedono e vedono il carcere, scorgono i muri grigi ed alti, annusano una realtà diversa dalla loro. Occorre invece far sì che le sbarre non prendano vita nelle loro teste, e se già esistono è necessario che queste vengano totalmente eliminate. Ed è proprio questo l’obiettivo primario di Bambinisenzasbarre.

La difficoltà maggiore, a Bollate così come in tutte le carceri, sembrerebbe in assoluto essere quella di spiegare ai bambini per quale motivo il padre che, solitamente è un idolo, un supereroe dal quale prendere ispirazione, sia da tempo rinchiuso in un grande edifico dai muri cupi a scontare la pena per un grave errore.

Ad alcuni bambini, finché è possibile farlo, viene omessa la verità con bugie del tipo“Papà è qui per lavoro”. Ad altri, tramite un percorso lungo, delicato ed ostico viene detta la verità.

«Il padre dicendo la verità sa che perderà un pezzettino di quella perfezione che il figlio gli attribuisce. La madre, invece, omettendo la realtà dei fatti cerca di tutelare sia il compagno sia il figlio perché — aggiunge la psicologa Ghironi — il bambino a conoscenza della verità dovrebbe essere nelle condizioni di poterne parlare al di fuori delle mura del carcere ma questo non sempre è possibile, perché la stessa società purtroppo talvolta non è pronta ad accettare alcune verità».

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